FEDERICO MONTALDO

Fotografia e Diritto

Il RITRATTO DEI MINORI

date » 08-04-2025 16:54

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tags » Ritratto, minori, minorile, tutela, immagine, fotografia, consenso, minorenne, privacy,

LNT.Cuba178.jpgCuba, 2003
(c) Luca Nizzoli Toetti

Tra i temi più delicati in tema di fotografia vi è sicuramente quello concernente l’individuazione dei corretti limiti dell’utilizzo dell’immagine dei minori. Anche questo tema – al pari di tutti gli aspetti legali connessi alla fotografia (ed in particolare della fotografia di ritratto) - ha visto la sua rilevanza accrescersi enormemente in ambiente digitale. In epoca social, infatti, la pervasività del mezzo è tale da moltiplicare esponenzialmente la diffusione dell’informazione, con ogni intuibile conseguenza.

Proviamo a fare un po’ di chiarezza.
Occorre anzitutto intendersi sul concetto di ritratto, che, ai fini che qui rilevano, altro non è che un’immagine (non solo e non necessariamente fotografica) in cui siano “riconoscibili le sembianze di una persona determinata”.
Il diritto all’immagine è un diritto assoluto e personalissimo, disciplinato dall’art. 10 cod. civ e dagli artt. 96 e 97 della legge sul diritto d’autore (l. 633/1941).
La regola generale in tema di esposizione, riproduzione, pubblicazione del ritratto di una persona subordina la legittimità della stessa all’espressione del “consenso”, (art. 96 l. aut.), salvo che ricorrano le ipotesi derogatorie stabilite dal successivo art. 97 l.aut. (notorietà del soggetto ritratto; ufficio pubblico ricoperto; necessità di giustizia e polizia; scopi scientifici, didattici o culturali; fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico), e sempre che la pubblicazione non sia comunque di pregiudizio all’onore, reputazione e decoro della persona ritratta.

Ciò detto in linea generale, con specifico riferimento all’immagine dei minori vengono in ulteriore considerazione:

- la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20.11.1989 (ratificata dall’Italia con legge 176/1991), secondo cui nessun fanciullo può essere oggetto di interferenze arbitrarie o illegali nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza, e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua reputazione, e deve perciò essere adeguatamente protetto (art. 16);

- il codice deontologico dei giornalisti, che, richiamando la Carta di Treviso del 5.10.1990 (come successivamente integrata), eleva a rango primario rispetto al diritto di cronaca e di critica la tutela della personalità del minore, sicché il secondo deve cedere nei confronti del primo, demandando al giornalista la responsabilità di valutare se la pubblicazione sia davvero nell’interesse del minore;

- il codice della privacy (nella sua versione di adeguamento al Regolamento U.E. 679/2016), di cui al D. Lgs. 101/2018, il cui art. 2 quinquies prevede che i minori possano prestare il consenso al trattamento dei dati personali solo a partire del 14 anni (contro i 16 della versione precedente), facendo sì che al di sotto di tale soglia il consenso al trattamento debba essere dato da entrambi i genitori;

- il codice del processo penale minorile, che prevede il divieto di pubblicazione e divulgazione, con qualsiasi mezzo, di notizie o immagini idonee a consentire l’identificazione del minorenne comunque coinvolto in un procedimento (D.P.R. 488/88, art. 13).

Risulta evidente, in tale contesto, come la pubblicazione di immagini dei minori sia tutt’altro che agevole, come recenti sentenze dei Tribunali hanno confermato.
Con riferimento al post su Facebook di una bambina che partecipava a un defilé di moda, in particolare, ne è stata ritenuta abusiva la pubblicazione in quanto non autorizzata dal padre separato (affidatario in regime condiviso), ma solo dalla madre, pur essendosi esclusa la sussistenza di un danno risarcibile stante la presenza dello stesso padre alla medesima sfilata (Trib. Ravenna, 15.10.2019). Analogamente aveva deciso altra corte nel caso di pubblicazione su Facebook dei figli del proprio compagno avuti da precedente relazione (Trib. Rieti, 7.3.2019).
In altro caso, la pubblicazione on line dell’immagine di una showgirl a spasso per Milano con la propria figlia è stata giudicata abusiva, in quanto, se l’obbligo del consenso poteva ritenersi derogato nei confronti della madre, per via della sua notorietà, non altrettanto poteva dirsi per la figlia, e non ravvisandosi un interesse pubblico alla diffusione del ritratto della minore (Trib. Milano, 23.12.2013).
In altro interessante caso, questa volta in Austria, è stata la figlia a insorgere nei confronti dei genitori che, negli anni, hanno pubblicato centinaia di immagini della stessa in situazioni intime, condividendole con i propri amici.
Viene da chiedersi, in tempi attuali, come farebbe Sally Mann a pubblicare un libro come “Immediate family” …

In conclusione.
In tema di immagini dei minori, l’interesse primario e assoluto è costituito dalla tutela dello sviluppo armonioso e completo della personalità del minore. Al cospetto di tale interesse, tutte le ipotesi derogatorie sull’obbligo del consenso - che in questo caso non può mai essere presunto, come a certe condizioni è ravvisabile nei confronti degli adulti - debbono cedere e/o comunque sono soggette ad essere interpretate restrittivamente da parte del giudice.
Pur non sussistendo un divieto assoluto di pubblicazione, diffusione e circolazione dell’immagine (nel qual caso sarebbe stato agevole sancirlo in termini chiari da parte del legislatore), la cautela è quindi d’obbligo. Si rende pertanto necessaria un’attenta valutazione ed un bilanciamento degli interessi contrapposti: il diritto di critica e cronaca e di libera manifestazione del pensiero (tra cui rientra peraltro anche la pubblicazione di immagini a scopo culturale), da una parte; il diritto del minore alla protezione del proprio sviluppo armonioso in assenza di turbative.

LA FOTOGRAFIA DEI BENI CULTURALI

date » 08-04-2025 16:38

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tags » fotografia, beni, culturali, museo, galleria, arte, scultura, pittura, architettura,

IMG_4693.jpgMusée d'Orsay, Paris, 2022
(c) Federico Montaldo

Quante volte visitando un museo, una galleria, un sito culturale avete a avuto la tentazione di fotografare le opere esposte, ma vi siete astenuti dal farlo? Oppure nel farlo avete fatto in modo di non incorrere negli sguardi del custode?
Che libertà abbiamo di riprendere, riprodurre, pubblicare e diffondere fotografie di beni quadri, sculture, una raccolta di antichi incunaboli, installazioni di arte contemporanea?

Facciamo un po’ d’ordine.
Anzitutto occorre individuare la nozione giuridica di “bene culturale”, che nel nostro ordinamento è contenuta nell’art. 2 del “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” (D.Lgs. 42/2001), secondo cui:

“Sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà”.

Per la dettagliata elencazione di tali beni, si fa rinvio alla lettura dei citati articoli 10 e 11 del Codice, che qui per ragioni di spazio non è possibile riportare, ma che sono agevolmente reperibili sulla rete.

Precisato che ci stiamo qui riferendo ai beni culturali pubblici (cioè dei beni di proprietà dello Stato, e/o comunque in consegna al Ministero dei beni culturali, alle Regioni, Soprintendenze e ad altri enti pubblici territoriali, in quanto dichiarati di interesse culturale,) la loro riproduzione è oggi regolata dall’art. 108 del medesimo testo, nella formulazione risultante dalle modifiche e integrazioni della legge 124/2017, che ha portato a compimento quella “rivoluzione” che il cd. Art bonus (D.L. 83/2014), aveva già avviato qualche anno prima.

Ebbene tale norma prevede che quando la riproduzione di tali beni avvenga:
• senza scopo di lucro;
• per ragioni di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa;
• ai fini di promozione della conoscenza del patrimonio culturale
essa è da ritenersi libera e può essere liberamente realizzata a condizione che ciò avvenga senza l'uso di mezzi che possano danneggiare le opere (luci artificiali o flash), senza l'uso di stativi o treppedi, nel rispetto di eventuali diritti d’autore sulle opere.
E’ stata in tal modo superata la vecchia e anacronistica concezione di tipo “proprietario” dei beni culturali, in cui l’esercizio della custodia da parte degli enti possessori veniva in realtà confusa con l’esercizio di un diritto di proprietà esclusiva nei confronti degli stessi.

Viceversa, quando le riprese avvengano per scopi professionali (su commissione o per propria iniziativa), è richiesta un’esplicita autorizzazione, e spesso il pagamento di un canone o corrispettivo, determinato dal gestore di ogni singola struttura, che ha il compito di determinarne la misura anche basandosi sul tipo e la durata delle riprese, sulle caratteristiche dei soggetti e soprattutto sulle possibilità di guadagno che queste offrono

Quanto alla divulgazione delle immagini legittimamente eseguite, è anch’essa ammessa con ogni mezzo, purché in modo tale da non poter essere ulteriormente riprodotte a scopo di lucro.
E si osservi che tale scopo non necessariamente coincide con la riproduzione e cessione di immagini di opere (es. la pubblicazione e vendita di un catalogo, o la realizzazione di stampe), ma è stato ritenuto sussistere anche in via indiretta.
In questo senso, il Tribunale di Firenze ha ritenuto vietata la riproduzione e l’utilizzazione sull’immagine del David di Michelangelo custodito alle Gallerie dell’Accademia di Firenze da parte di un’agenzia di servizi turistici sui propri dépliant e sito internet per vendere i suoi servizi e pubblicizzare la propria attività, in quanto appunto di tipo commerciale (Trib. Firenze, ord. 26 Ottobre 2017).

Naturalmente tutto ciò vale per il caso di beni culturali di proprietà pubblica. Quando il bene culturale è invece di proprietà privata, la regolamentazione del regime di ripresa, riproduzione e diffusione è integralmente rimessa alla proprietà del bene. Essa potrà vietarla oppure consentirla entro i limiti eventualmente previsti, a propria esclusiva discrezione.

E all’estero?
Il regime sopra descritto ha anche il pregio di aver posto la normativa italiana in linea con quella dei più importanti istituti culturali del mondo.
All’estero, infatti, sia nei musei che negli archivi e nelle biblioteche, è generalmente permesso fotografare le opere esposte – senza l’ausilio di flash e cavalletti - e utilizzare (anche su blog e social) le immagini ottenute per scopi di ricerca e studio, con esclusione in genere delle mostre temporanee e nel rispetto della normativa di settore.
Tanto per citare alcuni esempi, la Tate Gallery e la National Gallery di Londra consentono lo scatto di fotografie nelle principali sale espositive, per usi commerciali e non commerciali, con esclusione delle mostre temporanee a pagamento e nel rispetto della normativa sul copyright.
Nei musei francesi valgono regole simili, Al Louvre e al Musée d’Orsay è permesso scattare fotografie della collezione permanente esclusivamente per uso personale, mentre è prevista un’autorizzazione da parte dell’ente museale per l’utilizzo di immagini a scopo di ricerca o educativo.
Anche negli U.S.A. si ritrovano regole sostanzialmente analoghe.
(v. F. Minio, La libera riproducibilità dei beni culturali dopo l’emanazione della legge 4 agosto 2017, n. 124).
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