FEDERICO MONTALDO

Fotografia e Diritto

LIBERATORIA FOTOGRAFICA: COS'E' E QUANDO SERVE

date » 09-04-2025 11:13

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tags » fotografia, liberatoria, ritratto, diritto, autorizzazione, consenso, minori,

DSCF8584.jpgFontana di Trevi, Roma, 2019
(c) Federico Montaldo

Chiunque abbia frequentato la fotografia di ritratto, nelle sue varie forme, si si è presto o tardi trovato a confrontarsi con il tema della liberatoria.
Ma cosa si intende esattamente con questo termine, e, soprattutto, quale ne è lo scopo e quali i suoi limiti?
Per comprenderne il significato e la finalità occorre fare riferimento a due norme di legge: l’art. 10 del codice civile e l’art. 96 della legge sul diritto d’autore.
La prima norma (intitolata “Abuso dell’immagine altrui”) prevede che:

“qualora l’immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o del figlio sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l’autorità giudiziaria, su richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo il risarcimento dei danni”.

Come si può notare dalla semplice lettura del testo la norma non regola l’uso, ma sanziona l’abuso. Ciò significa che per determinare la legittima esposizione e pubblicazione del ritratto di una persona occorre: a) che avvenga nei casi previsti dalla legge; b) che non arrechi pregiudizio al decoro e/o alla reputazione della persona.

La seconda norma prevede che:

“il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa salve le disposizioni dell’articolo seguente”.

Tale norma esprime la “regola del consenso”, cioè il principio secondo il quale per la riproduzione dell’immagine di una persona è necessario il suo consenso.
In disparte per ora le (non poche) deroghe previste dalla legge a tale principio (contenute nel successivo art. 97), concentriamoci sulle caratteristiche del consenso.
Senza qui accennare alla natura giuridica del consenso (come negozio unilaterale), è importante osservare che esso deve essere espresso, cioè deve essere reso manifesto. Ed è esattamente a questo che provvede la cd. liberatoria, che quindi altro non è che una dichiarazione scritta con la quale il soggetto ritratto autorizza l’esposizione e la pubblicazione della propria immagine, così ponendo al riparo il fotografo (od eventuali altri soggetti) dal rischio di un eventuale abusivo utilizzo.
Ciò entro i limiti temporali e secondo le modalità e gli scopi stabiliti nella liberatoria stessa.
Occorre dire infatti che il consenso è generalmente espresso con riguardo ad un determinato utilizzo, e, soprattutto, è circoscritto nei confronti del soggetto (o dei soggetti) che ne sono destinatari.
Ad esempio, se io esprimo il consenso alla pubblicazione della mia immagine per una campagna benefica, ne risulterebbe ovviamente abusivo l’utilizzo per una pubblicità. Lo stesso a dirsi se quell’immagine, in ipotesi autorizzata esclusivamente per la realizzazione di un manifesto, sia poi utilizzata sul web, ancorché per lo stesso scopo.

Ciò detto, la liberatoria (intendendosi per tale un’autorizzazione scritta e sottoscritta) è sempre da considerarsi necessaria?
Come sopra evidenziato, il consenso deve sempre essere espresso. Ciò non significa tuttavia che la sua espressione debba necessariamente intervenire in forma scritta. Il consenso potrebbe essere infatti manifestato anche in forma tacita o “per fatti concludenti”: cioè quando si possa affermare che, per le circostanze in cui il soggetto è stato ritratto, è comunque evidente o implicito il suo consenso.
Il problema che si pone molto spesso nella pratica riguarda la condotta del soggetto ritratto, che deve essere sufficientemente univoca. Non si può cioè attribuire rilievo a condotte neutre (come ad esempio uscire di casa o intrattenersi presso un luogo pubblico), ma solo a comportamenti che, sebbene taciti, appaiono comunque inequivoci. In questo senso, ad esempio, è stato ritenuto che sottoporsi spontaneamente ad un servizio fotografico, al di fuori di una specifica commissione, costituisca implicito consenso alla diffusione della propria immagine; in altri casi si è fatto riferimento alla condotta di chi non abbia opposto alcun divieto alla ripresa di fotografie durante uno spettacolo in un locale pubblico.
In molti casi potrà essere la fotografia stessa a rivelare il comportamento: se il soggetto inquadrato guarda in macchina e magari sorride pure, sarà più agevole sostenere che abbia prestato il proprio consenso rispetto ad una immagine in cui il soggetto tende un braccio in segno di opposizione, o semplicemente, abbia un atteggiamento poco … conciliante!
Un’ultima, ma fondamentale, caratteristica del consenso è la sua revocabilità. Trattandosi infatti di in diritto personalissimo, il soggetto, anche quando abbia autorizzato l’utilizzo della propria immagine può sempre mutare avviso, così revocando il consenso originariamente dato. In questo caso, tuttavia, se il fotografo o il soggetto destinatario dell’autorizzazione ha sostenuto spese e/o si è impegnato contrattualmente per l’utilizzo delle immagini avrà diritto al risarcimento dei danni subiti.

IL CASO NEVERMIND DEI NIRVANA

date » 08-04-2025 17:13

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tags » Nirvana, nevermind, fotografia, disco, musica, dollaro, minori,

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A proposito della famosa copertina di Nevermind, leggendario album dei Nirvana del 1991, qualcuno ha detto che la cosa più oscena di quella immagine è il dollaro.

Non sembra pensarla così Mr. Spencer Elden (o forse, sarebbe meglio dire, i di lui avvocati), che quando comparve sulla copertina del celebre disco aveva pochi mesi, e che oggi, maturo trentenne, ha fatto causa agli ex componenti della band e alle persone coinvolte nella realizzazione dell’album, sostenendo di essere stato sfruttato.
In particolare, a quanto si apprende, i Nirvana avrebbero usato intenzionalmente l’immagine «pedopornografica» del bambino per scopi commerciali e «sfruttato la natura scioccante della sua immagine» per «provocare una reazione sessuale istintiva» nello spettatore e promuovere la band a spese di Elden.
Poco importa che la copertina di Nevermind sia stata interpretata come una critica al capitalismo, e che, secondo la legge americana, immagini di bambini nudi che non abbiano elementi per essere considerate contenuti sessuali non vengono ritenute pornografiche.

Gli avvocati di Elden hanno aggiunto che la fotografia ha provocato al loro cliente «danni permanenti» e che la presenza della banconota da un dollaro suggerisce in qualche modo che il bambino possa essere «un sex worker» (v. Rolling Stone, 26 Agosto 2021, Il Post, 25 agosto 2021, Variety, 24 Agosto 2021).
Che dire?
La prima possibile osservazione riguarda la genuinità della sofferenza della vittima. Su di essa (la genuinità, non la vittima) è lecito sommessamente avanzare qualche dubbio, dato che il nostro Elden, – evidentemente prima di aver preso coscienza dei propri patimenti psicologici - era arrivato a tatuarsi sul petto la scritta “Nevermind” e che in passato, in occasione degli anniversari dell’uscita del disco, aveva anche provato a ricreare la copertina del disco.
Lasciamo questo argomento alla difesa delle controparti, nei cui confronti il “petitioner” ha domandato un risarcimento del danno di $ 150.000 ciascuno (tra questi il fotografo che scattò la foto, Kirk Weddle; il direttore artistico dell’album, Robert Fisher; i due ex membri dei Nirvana, Dave Grohl e Krist Novoselic; la ex moglie di Kurt Cobain, Courtney Love; le persone che si occupano di gestire l’eredità di Cobain, e vari rappresentanti delle etichette discografiche che hanno pubblicato e distribuito il disco negli ultimi trent’anni).

La seconda osservazione riguarda una società – quella americana - in cui tutto è (o è divenuto) ossessivamente sessualizzato e in cui l’oscenità passa solo ed esclusivamente attraverso le immagini che riportano al sesso o agli organi sessuali. In ogni caso e a prescindere dal contesto. Never mind (è il caso di dire) se sono i capezzoli della Venere di Botticelli o il corpo della bimba vietnamita in fuga dalle bombe (americane) al napalm. Su Facebook non passeranno! Anche il puritanesimo si è digitalizzato.
E poco importa se film o videogiochi propongano senza limiti di età immagini e temi di assoluta violenza, truculente e sanguinarie e se l’uso delle armi, intoccabile, è garantito in Costituzione. In questo nulla di osceno.
In Europa stiamo messi un po’ meglio. Ma non disperiamo. Solitamente da Oltreoceano abbiamo importato il meglio, ma anche il peggio.

La terza osservazione è di tipo legale (il che giustifica l’inserimento di questo pezzo nella rubrica di riferimento) e tocca ancora una volta il tema dell’immagine dei minori.
Come ho sempre più occasione di constatare - sia dall’analisi che dalla frequenza dei casi giudiziari, oltre che dai quesiti che mi vengono posti a livello professionale - si tratta di un tema tra i più delicati in materia di rapporti tra fotografia e diritto.
Per una sintesi delle principali problematiche si rinvia al post pubblicato in questa sezione sugli aspetti legali del ritratto dei minori.

In particolare, in tema di immagini dei minori, l’interesse primario e assoluto è costituito dalla tutela dello sviluppo armonioso e completo della personalità del minore, al cospetto del quale tutte le ipotesi derogatorie sull’obbligo del consenso - che in questo caso non può mai essere presunto, come a certe condizioni è ravvisabile nei confronti degli adulti - debbono cedere e/o comunque sono soggette ad essere interpretate restrittivamente da parte del giudice.
Ma, a ben guardare, non sembra essere neppure questo il punto nodale – nel caso di Nevermind – poiché l’azione di Spencer Elden giunge ben oltre il raggiungimento della maggior età, a personalità ormai abbondantemente formata (bene o male non è qui oggetto di indagine).
Piuttosto è una questione di liberatoria tout court, cioè del consenso alla pubblicazione della propria immagine.

A dire dei legali di Elden, infatti, l’unica autorizzazione a suo tempo accordata al fotografo (che pare fosse amico del padre di Elden) era quella allo scatto del tuffo in acqua (ricevendo un compenso di $ 200), ma non alla pubblicazione della stessa sulla copertina di un disco (che ha poi venduto oltre 30 milioni di copie).
Sotto tale profilo, se effettivamente sussistente, la domanda può apparire fondata e lo stratosferico numero di copie del disco vendute rappresenta un elemento rilevantissimo per la eventuale quantificazione del danno.
Al netto di ogni considerazione circa il preteso (e tardivo) pregiudizio asseritamente subito in chiave “pedopornografica”.

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