FEDERICO MONTALDO Photography
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6 Aprile 2009. Ore 3,32.
Per 23 lunghissimi secondi un sisma di Magnitudo 6,2 devasta L’Aquila e oltre 60 Comuni circostanti.
I morti sono 309, 1600 i feriti, oltre 65.000 gli sfollati, oltre 10 miliardi di euro i danni calcolati.
Ad oltre 3 anni dal quel tragico evento, il centro dell’Aquila è una città fantasma, avvolta nel silenzio, come un set abbandonato di un vecchio film western.
La “zona rossa” è tutt’ora presidiata dalla forza pubblica, che ne impedisce l’accesso, gli edifici sono completamente puntellati da travi esterne e impalcature; le porte delle case ancora in piedi sono serrate con catenacci; gli edifici pubblici spalancati.
Dalle mura sventrate delle case emergono tracce della vita che fu: armadi aperti con i vestiti appesi sulle grucce, libri caduti da scaffali in bilico sul vuoto, canottiere stese ad asciugare su fili rimasti miracolosamente tesi, interni diventati esterni in una manciata di secondi.
Non c’è traccia di ricostruzione, se non per pochi, limitatissimi interventi.
La popolazione è stata “trasferita” senza logica apparente nelle numerose “new town” costruite a caro prezzo e a tempo di record nel raggio di 10 chilometri dal centro.
Si tratta di “non luoghi” dove la gente vive spaesata, nell’attesa sempre più vaga di poter un giorno ritornare nelle proprie case.
Se possibile, ancora peggiore è la situazione dei paesi della provincia, dove il terremoto si è abbattuto come una frustata.
In questi borghi antichi, di una bellezza perduta per sempre, neppure le macerie sono state rimosse, e chissà se lo saranno mai.
L’aquila e gli altri paesi non saranno mai più gli stessi.
Si calcola in circa 3 anni il tempo perché una città possa recuperare se stessa, perché il tessuto sociale si ricomponga.
Quel tempo è ormai passato. Quei negozi non riapriranno, quelle persone non torneranno mai più alla vita di prima.
Se e quando la ricostruzione ci sarà, l’Aquila sarà una città diversa.
(Tratto da catalogo della mostra "L'aquila Ferita", 2012).
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